Perché un parco?

Secondo Bertrand Westphal, “lo spazio non è un contenitore monodimensionale”[1], bensì la risultante di una geografia che, da sempre, “attinge a un’ermeneutica spirituale e non dell’osservazione immediata”[2]: un interscambio, allora, pertinente alla pratica letteraria, che dispone e ricrea nel testo quelle che sono le pieghe della realtà. Va da sé che le affermazioni di Gérard Genette, secondo cui “posso benissimo raccontare una storia senza precisare il luogo in cui si svolge, e se questo luogo sia più o meno vicino a quello i cui lo racconto, mentre mi è quasi impossibile non situarla nel tempo rispetto al mio atto narrativo”[3] appaiano ormai superate, riconducibili a un “vecchio pregiudizio, che oppone la narrazione alla descrizione, e cioè il tempo allo spazio, come si oppongono tra loro il movimento e la stasi”[4]. Lo spazio, di conseguenza, per quanto declinabile in una serie di opposizioni binarie (aperto/chiuso; naturale/artefatto; reale/astratto e via dicendo), non può più prescindere, anche a livello narrativo, dal rapporto tra il testo e il mondo (e basti ricordare, a tal proposito, il concetto di ‘cronotopo’ elaborato di Michail Bachtin, ovverosia “l’interconnessione sostanziale dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente”[5]).
A fronte di una tale specularità, mette conto guardare alle molteplici trasformazioni cui il concetto di “spazio” è andato incontro nel corso dei secoli, per arrivare all’epoca contemporanea e alla dicotomia, già rintracciata da Marc Augè, tra luogo (“identitario, relazionale e storico”[6]) e non luogo (“spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale, né storico”[7]); senza contare, sulla scorta di Michael Jacob, “l’ingordigia contemporanea per il paesaggio”[8], che inevitabilmente finisce per adombrare le zone di margine o periferiche. Una Babele di luoghi, forse,  ma anche, e soprattutto, una mappa in consunzione, che anche la letteratura femminile ha cercato di tradurre in parole, per renderla nuovamente leggibile. Ma come narrano le scrittrici i loro luoghi? E, soprattutto, è possibile individuare una costante in questa poetica degli spazi?
È da simili interrogativi che è nata l’idea di allestire un “parco digitale” dei luoghi letterari: una piattaforma ibrida e in fieri, oscillante tra la banca dati e un testo unico, polifonico, dove il concetto stesso di “luogo” rivela, a contatto con la parola, la sua essenza protea e fermentante. E va da sé che le scritture – quelle voci autoriali che sono state, e saranno, qui raccolte e catalogate – originino a loro volta più mappe: traiettorie multiple, destinate a guidare il lettore in un percorso solo in apparenza sconnesso, giacché alimentato dalla continua oscillazione tra lo spazio effettivo (il dove) e lo spazio tradotto, rappresentato, coestensivo alla pratica letteraria (il nondove). 
La suddivisione del parco in cinque macroaree – acqua, aria, terra, fuoco, dove/non dove – risponde sì a un ordinamento tematico, ma cerca anche di colmare gli iati che, spesso, sono connaturati all’idea di “luogo” in quanto punto d’incontro/scontro tra identità e culture diverse, destinate però risolversi in una visione multifocale e onnicomprensiva. La prospettiva, di conseguenza, è duplice: diacronica – in virtù dell’ordinamento cronologico dei testi all’interno di ogni area tematica – e sincronica – restituita dalle assonanze tematiche che legano tra loro i brani catalogati. Se il luogo è punto di contatto fra testo e mondo, allora alla verticalità della parola (cronologicamente situata) risponde l’orizzontalità dello spazio: uno spazio – quello generato da questi frammenti – che vuole restituire una prospettiva volutamente lontana, tale da individuare l’evoluzione del tema e dell’immagine all’interno della letteratura globale (da qui la scelta di inserire, per i testi non italiani, anche versione originale). Si tratta, a conti fatti, di guardare a una simultaneità differente, dove le strutture del tempo finiscono per assottigliarsi e cedere il passo a un luogo ispessito, tangibile: una fucina di plurime suggestioni. Le biografie delle singole autrici, a loro volta, tracciano una costellazione sui generis e perimetrano quel grande racconto dello spazio portato avanti dal parco: nel passare dal luogo rappresentato a quello delle radici, le due mappe tornano a collimare in un gioco di rispondenze, prossimità e lontananze.

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1 Bertrand Westphal, La Gèocritique. Réel, fiction, espace (2007), trad. it. di Lorenzo Flabbi (2009), Geocritica. Reale Finzione Spazio. Roma, Armando, 7.

2 Ibidem.

3 Gerard Genette, Figures III (1972), trad. it. di Lina Zecchi (2006), Figure III, Torino, Einaudi. 262.

4 Sandro Maxia, Letteratura e spazio. Introduzione, in Moderna 1 , 2007, IX.

5 Michail Bachtin, Formy vremeni i chronotopa v romane. Ocerki po istoriceskoj poetike (1975), trad. it. di Clara Strada Janovic (1997), “Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo. Saggi di poetica storica”, in Michail Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 395.

6 Marc Augè, Non-Lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité (1992), trad. it. di Dominque Rolland e Carlo Milani (1996), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 73.

7 Ibidem.

8 Michael Jakob, Le paysage (2008), trad. it. di Andrea Ghersi e Michael Jacob (2009), Il paesaggio, Bologna, il Mulino, 9.

 


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